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Inviato da avatar Eugenio Galli il 30-04-2008 alle 20:30 Leggi/Nascondi
Riflessioni a caldo sul seminario del 29 aprile a Palazzo Marino 
Ieri purtroppo il convegno è cominciato in ritardo e, terminati gli interventi previsti, non c'è stato spazio per il dibattito.
Avevo (come forse altri) delle considerazioni da fare pubblicamente, che sono rimaste invece inespresse.
 
Una su tutte: dalla interessante ricerca 3M emerge come una parte rilevante degli incidenti che coinvolgono i ciclisti sia attribuibile ai ciclisti stessi.
O in quanto fanno tutto da soli (ostacoli, cadute, distrazioni, ecc). O in quanto sono responsabili causali (e dunque colpevoli) dell'incidente che li vede coinvolti.
 
Questo tema ritengo che sia di rilevanza fondamentale e che debba essere oggetto di attenta analisi, di riflessioni, di proposte e di azioni concrete.
Altrimenti rischia, nella consueta frenesia mediatica, di essere barattato, equivocato, per qualcos'altro. Con una confusione - per involontaria e in buona fede che sia (ma non  è detto che lo sia sempre...) - che non giova a nessuno.
 
Non faccio una difesa di categoria dei ciclisti, perché trovo che non abbia senso, se vogliamo approcciarci in modo costruttivo e realistico.
Sarebbe come dire che tutti i magistrati sono scrupolosi, che tutti i giornalisti sono eticamente corretti, che tutti i pubblici amministratori sono onesti e hanno a cuore l'interesse pubblico, eccetera eccetera.
I ciclisti, come tutti gli altri utenti delle strade, e come peraltro qualsiasi categoria umana, non fanno eccezione: ce ne sono di civili e di incivili, di prudenti e di imprudenti, attenti e disattenti...
 
Ma ci sono situazioni di particolare criticità.
Penso, per fare un esempio, ai molti casi in cui una pista ciclabile presenta delle discontinuità sulle intersezioni in assenza della segnaletica di attraversamento ciclabile.
In questi casi, il ciclista deve dare la precedenza e si rende responsabile di eventuali incidenti che possano accadere proprio nel punto di maggior pericolo (l'incrocio). Ma viene meno il principio della continuità degli itinerari ciclabili!
E' evidente che qui c'è, formalmente, la colpa del ciclista. Ma, sostanzialmente, un errore, un'incompetenza, una disattenzione o peggio sul piano progettuale e realizzativo dell'opera.
 
O penso alle difficoltà di parcheggio che le bici ancora incontrano.
Per cui raccontava Garimberti nella sua rubrica su la Repubblica lo scorso venerdì che un ciclista, andando a recuperare la bici che aveva legato a un palo, non solo l'ha trovata distrutta da un'auto che si era scagliata sul marciapiede, ma per giunta è stato multato dai vigili per avere legato la bici al palo (in luogo cioè non consentito dalle norme vigenti).
 
Se questa città ha trascurato colpevolmente per più di venti anni la mobilità ciclistica, i risultati non possono essere molto diversi.
Adesso è tempo di cambiare. Ma passando dai comunicati stampa alle azioni concrete.
 
Per questo dobbiamo continuare a esigere che Milano diventi il più possibile permeabile alla bici - non solo con la rete delle piste ciclabili - che si correggano gli errori del passato e che si pensi in modo davvero nuovo alla Milano del futuro, favorendo non solo a parole la mobilità sostenibile.
Senza per questo invocare per i ciclisti un'area law-free (libera dal diritto, cioe' non regolamentata).
A parità di diritti consegue certamente anche una parità di doveri.
 
Eugenio Galli
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